All’inizio degli anni Sessanta le ricerche sulla percezione e il movimento degli artisti e delle artiste appartenenti ai gruppi T e N si intrecciano con gli studi di intellettuali e artisti come Umberto Eco (Alessandria, 1932 – Milano, 2016), Bruno Munari (Milano 1907 - 1998) e Giorgio Soavi (Broni, 1923 - Milano 2008), ai quali si deve l’organizzazione nel 1962, presso il negozio della Olivetti di Milano, della mostra “Arte programmata”, che prese il titolo dalla definizione adottata in quel contesto per indicare quelle opere, sia statiche sia dinamiche, basate su una programmazione della loro struttura capace di consentire una continua variazione formale e cromatica delle sequenze figurali.
In questo contesto nascono le Linee Luce di Getulio Alviani (Udine, 1939 – Milano, 2018) – superfici di alluminio fresate elettricamente che mutano a seconda della posizione dello spettatore e dell’incidenza luminosa generando immagini sempre diverse – e i Rilievi ottico-dinamici di Alberto Biasi (Padova, 1937), sovrapposizioni di strutture lamellari dai colori contrastanti che attivano particolari effetti visivi.
Tra le opere che riflettono più marcatamente sul movimento vi è anche l’Oggetto a composizione autocondotta (1959) di Enzo Mari (Novara, 1932 – Milano, 2020), costituito da elementi in legno di varie forme geometriche racchiusi in una cornice, ruotando la quale i moduli si dispongono richiamando i processi di aggregazione casuale di elementi naturali.
Infine, le diffuse indagini sulle illusioni percettive legate al colore e al movimento sono rappresentate, tra gli altri, dal Tetracono (1965) di Bruno Munari e dagli Schemi luminosi variabili di Grazia Varisco (Milano, 1937).
Arte programmata