La sezione della mostra dedicata al Flusso è introdotta da una selezione di lavori di autori che, con modalità e in tempi diversi, hanno partecipato al network internazionale di Fluxus, contraddistinto dall’interesse per i temi della temporalità dell’opera e della perdita dell’oggetto. Gli autori inclusi in questo progetto, in particolare, oltre a negare il dogma dell’autenticità e della fisicità dell’opera, hanno sviluppato ricerche in rapporto con le scienze matematiche e ingegneristiche che hanno dato esiti quali le poesie autogenerate mediante un linguaggio di programmazione (Alison Knowles, House of Dust, 1967; Nanni Balestrini, Tape Mark I, 1961) e la trasposizione di immagini scientifiche in codice binario (Nam June Paik, The First “Snapshots” of Mars, 1966). L’importanza del fattore casuale e la spersonalizzazione che ne consegue sono riconducibili all’influenza di John Cage (Los Angeles, USA, 1912 – New York, USA, 1992), che introduce nella musica il concetto dell’indeterminazione, l’apertura al caso, attingendo al pensiero Zen. L’indeterminazione e l’apertura dell’opera al dato aleatorio sono infine alla base di una delle invenzioni più fruttuose di Fluxus: gli event score, partiture testuali per azioni e performance che antepongono l’idea alla fisicità dell’opera, l’istruzione ripetibile all’evento singolo, spesso raccolti in prodotti editoriali che negano l’unicità dell’opera d’arte (Yōko Ono, Grapefruit, 1964; Mieko Shiomi, Events and Games, 1964).
Tutte le opere presentate in questa sala appartengono alla collezione di Luigi Bonotto.